Giorgia Lagosti

La Storia della Beccheria

La Storia della Beccheria

Non è un caso se ancora oggi  i salvadanai hanno la forma di un maialino, il maiale infatti, un tempo, non era concepito come carne, non era considerato come il pollo o il coniglio, ma era l’animale di cui si metteva via tutto, un vero e proprio salvadanaio.
E febbraio era un momento cruciale per questo “risparmio”,  perché era il mese in cui si preparava il porcile, lo “stalletto”, lo si disinfettava con la calce viva, dal soffitto al pavimento, fino a che non diventava tutto bianco; si approntava un giaciglio di paglia fresca, quella dell’ultima trebbiatura e… si andava a comperare il maialino: entro i 15 chili, un lattonzolo (latèun). Se ci fosse stata la possibilità di scegliere, la schiena a coppo era segno di buon magro e poco lardo, il posteriore tondo avrebbe dato bei prosciutti e la coda riccia avrebbe allontanato il malocchio.
Durante i primi mesi si allevava con gli avanzi di cucina poi, da fine settembre, cominciava l’ingrasso: un mese a zuppa di mais, farina di polenta, ghiande e erba medica bollita e il mese successivo a scarti di patate e farina di orzo. Accudire il maiale rappresentava un impegno quotidiano, costante e inderogabile.
Poi arrivava il momento di ucciderlo, di smett e’ bagoin, e in campagna il momento giusto andava dalla fine di novembre, dal giorno di Sant’Andrea, fino a circa a metà gennaio, al giorno di Sant’Antonio Abate; c’era anche chi aspettava ancora un po’, fino a febbraio inoltrato perché, con l’uccisione del maiale, si aveva l’impressione che i giorni di festa, dopo quelli del Natale, fossero ancora di più. Chi se lo poteva permettere ne macellava due: uno, il più grosso prima di Natale e l’altro verso la fine dell’inverno. Quest’ultimo sarebbe tornato utile alla ripresa dei lavori nei campi, verso la fine di marzo o i primi di aprile, durante la zappatura del grano. … continua